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La curia di Francesco, paradiso delle multinazionali
Espresso
20 Gennaio 2014
McKinsey, Promontory, Ernst & Young, KPMG. Dal Vaticano è tutta una corsa ad arruolare le società di consulenza più pregiate e costose al mondo. A che prezzo non si sa.
Sarà pure "povera e per i poveri" la Chiesa sognata da papa Francesco. Intanto però il Vaticano sta diventando il Paese di Bengodi delle più pregiate e costose fabbriche al mondo di sistemi organizzativi e finanziari.
L'ultima arruolata è la leggendaria McKinsey & Company, con l'incarico di sfornare "un piano integrato per rendere l’organizzazione dei mezzi di comunicazione della Santa Sede maggiormente funzionale, efficace e moderna". Quanto basta per seminare il panico tra gli addetti ai lavori, che negli ultimi tempi in Vaticano non sono diminuiti ma aumentati, in un crescendo di confusione.
A padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa e portavoce ufficiale, è stato aggiunto un "senior communications adviser" nella persona del giornalista americano Greg Burke, membro dell'Opus Dei, con un ufficio in segreteria di Stato.
Per non dire dei due addetti stampa che il presidente dell'Istituto per le Opere di Religione, Ernst von Freyberg, si è portato a Roma la scorsa primavera dalla sua Germania, Max Hohenberg e Markus Wieser, entrambi della Communications & Network Consulting.
Poi c'è la Radio Vaticana diretta dallo stesso Lombardi, con 30 milioni di dollari di passivo annuo e con tanti giornalisti quanti ne servivano una volta per trasmettere in onde corte nelle lingue e nelle regioni più remote del globo, ma ora in sovrannumero.
C'è "L'Osservatore Romano", altra voragine di costi con le poche migliaia di copie giornaliere della sua edizione principale.
C'è il Centro Televisivo Vaticano, che fa buoni incassi grazie all'esclusiva mondiale delle immagini del papa ma deve fronteggiare spese proibitive con la Sony e altre grandi firme per la modernizzazione delle tecnologie.
E poi ancora c'è il pontificio consiglio per le comunicazioni sociali, un carrozzone burocratico che avrebbe dovuto fare lui il lavoro ora affidato alla McKinsey, ma evidentemente non ne è stato ritenuto capace.
In questo disordine si è capito da un pezzo che papa Francesco preferisce fare di testa sua. Delle tre sue interviste che più hanno fatto rumore, due le ha date ai gesuiti de "La Civiltà Cattolica" e una al superlaico fondatore de "la Repubblica", senza che né padre Lombardi né Burke né altri vi avessero a che fare.
Altra firma di grido reclutata dal Vaticano è il Promontory Financial Group, con sede centrale a Washington. Da maggio, una dozzina di suoi operatori si sono installati nei locali dello IOR e passano al setaccio ad uno ad uno i conti dell'istituto, in caccia di operazioni illecite. Altrettanto fanno con i conti dell'APSA, l'Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica.
Non solo. Dirigenti di spicco di Promontory fanno parte ormai in pianta stabile del vertice dello IOR. Era di Promontory Rodolfo Marranci, il nuovo direttore generale della "banca" vaticana. E sono divenuti senior adviser dello IOR Elizabeth McCaul e Raffaele Cosimo, capi rispettivamente delle sedi di New York e per l'Europa di Promontory. Da oltre Atlantico viene anche Antonio Montaresi, chiamato a dirigere l'ufficio rischi, un ruolo che nello IOR prima non esisteva.
Un'analoga moltiplicazione dei ruoli e del personale interessa in Vaticano anche l'Autorità di Informazione Finanziaria, creata alla fine del 2010 da Benedetto XVI, oggi diretta dallo svizzero René Brülhart, costosa star internazionale in materia, e prossima a raddoppiare il suo staff.
A certificare i bilanci dello IOR c'è la Ernst & Young, alla quale il Vaticano ha ora affidato anche la verifica e l'ammodernamento delle attività economiche e della gestione del governatorato del piccolo Stato.
E a un'altra blasonata multinazionale, la KPMG, è stato chiesto di allineare agli standard internazionali la contabilità di tutti gli istituti ed uffici con sede nella Città del Vaticano.
A dispetto della decantata trasparenza, nulla trapela sui costi di questi ricorsi ad operatori esterni, costi che si presumono ingenti, in particolare quelli a carico dello IOR.
Come non bastasse, la "banca" vaticana ha dovuto coprire con 3,6 milioni di euro una parte del debito di 28,3 milioni, accertato dalla Ernst & Young, della giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro.
E con una decina di milioni di euro ha dovuto colmare metà della voragine lasciata nella diocesi di Terni dal suo ex vescovo Vincenzo Paglia, attuale presidente del pontificio consiglio per la famiglia.
Sandro Magister
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Questa nota è uscita su "L'Espresso" n. 3 del 2014, in edicola dal 17 gennaio, nella pagina d'opinione dal titolo "Settimo cielo" affidata a Sandro Magister.
Fonte > Espresso
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Commenti
Peccato che i francescani dell'Immacolata sono poveri e lo sono sempre stati, ma senza nè debiti nè manager, forse adesso
starebbero meglio.
Che dire... abbiamo un vescovo di roma che strombazza ai quattro venti che paga le bollette alle vecchie e viaggia in seconda sui voli internazionali con borsa sdrucita a mano, però spende 28 milioni per il megashow di copacabana.
Forse era meglio un papa, con tanto di ermellino e mozzetta (già presenti in abbondanza nel guardaroba vaticano), e magari volo privato senza interviste pro gay, che però in brasile ci andava a celebrare messe e non concertoni e che invece di indebitarsi per 50 miliardi di vecchie lire pensava a fare qualche predica teologicamente corretta (che per altro sono gratis). Per le bollette alle vecchie, la elemosineria vaticana le ha sempre pagate, come pure le diocesi o le parrocchie, ma avendo cura di restare
nella discrezione e nell'anonimato.
Dopo tanta povertà a suon di miliardi di debiti forse verrà il momento
di fare il totale sull'avventura romana di bergoglio e con questo andazzo saranno dolori.
sarebbe,in un futuribile futuro,a breve,
veder esibirsi,in Mondo-Visione,il Duo
"papa-Gay"...hihihi...
"papessa-Lesbica"...hahaha...
e chissà che il Maligno,"Capo-Comico",
non ci stia pensando già!
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