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Weimar: una tragedia da deflazione (III)
07 Maggio 2012
Parte 3/4La fine di Weimar: Hitler al potere
Le elezioni generali del Reichstag, del 14 settembre 1930, provocarono il sommovimento totale del quadro politico tedesco. Il NSDAP ottenne il 18,3%. Nelle elezioni del 1928 i nazisti erano attestati intorno al 3,5%. Nessun governo era, ora, possibile senza i nazisti ma le forze costituzionali e liberali nonché il Zentrum cattolico erano restii ad accettare questa prospettiva. I risultati elettorali diedero ai nazisti quella visibilità e quella forza di mobilitazione che li posero in rotta frontale, ma concorrenziale per quanto riguarda il consenso dei ceti proletari, con la sinistra socialdemocratica e comunista. La Germania era ormai in uno stato di non dichiarata ma effettiva guerra civile. La situazione economica, nel frattempo, peggiorava a vista d’occhio e sebbene nel 1932 si registrasse una debole e lieve ripresa le sorti della repubblica di Weimar erano ormai segnate dal momento che le istituzioni repubblicane avevano perso ogni credibilità presso la stessa opinione pubblica moderata: esattamente come sta accadendo oggi, in Italia, ai partiti commissariati dal governo tecnico bancocratico di Mario Monti. Il tecnico dell’epoca, Brüning, con la sua politica deflazionista e di rigore, applicazione dogmatica della ricetta liberista, non fece altro che aggravare la situazione facilitando ai nazisti la conquista del consenso di massa. Il vecchio maresciallo Hindenburg, una icona per il patriottismo tedesco, nel 1932 venne rieletto Reichspräsident. In quell’occasione Hitler, che gli si era opposto elettoralmente perdendo, si convinse definitivamente che bisognava cercare una intesa con la destra nazional-conservatrice. Fu, questo tra i nazional-conservatori ed i nazisti, un gioco di reciproca strumentalizzazione: i conservatori credevano di poter controllare ed utilizzare Hitler mentre, dal canto suo, Hitler seppe usarli per entrare nel governo e poi sbarazzarsene, in senso politico, durante la notte dei lunghi coltelli quando, se da un lato furono eliminate le SA e la sinistra del partito nazista per accontentare i fiancheggiatori di destra, dall’altro lato il dittatore approfittò dell’occasione per irreggimentare intorno alla sua persona, sulla base del Fürherprinzip, il movimento nazista e l’assoluto potere nello Stato che, anche a discapito degli alleati nazionali, si apprestava a trasformare in Stato totalitario. Hindeburg sfiduciò Brüning, che pure ne aveva appoggiato la rielezione, il quale si dimise il 30 maggio 1932.
Franz von Papen
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Fu incaricato del cancellierato Franz von Papen un cattolico conservatore, lontano dal Zentrum, che pretendeva, senza alcuna legittimazione né politica né ecclesiale, di avere la rappresentanza politica dei cattolici tedeschi. Hitler diede un appoggio esterno a von Papen ma a condizione che fosse revocato un bando emesso contro le SA, fosse sciolto il governo regionale socialista in Prussia, il quale aveva dichiarato fuori legge il locale NSDAP, e che fossero al più presto indette nuove elezioni. Alle elezioni generali del 31 luglio 1932 il NSDAP raggiunse il 37,2% dei voti, risultato che ora permetteva ad Hitler di rivendicare il cancellierato. Hindeburg, che diffidava di quel parvenu, tuttavia gli rifiutò, il 13 agosto, la nomina. Nell’impossibilità di formare una maggioranza parlamentare senza i nazisti, il Reichstag fu ancora sciolto e furono indette nuove elezioni nella speranza che qualcosa di diverso uscisse dalle urne. Era una illusione. I nazisti conquistarono nelle elezioni del 6 novembre 1932 il 33% dei voti, ma nonostante questa flessione essi rimanevano ancora una forza senza la quale era impossibile governare. A dicembre, pertanto, von Papen rassegnò le dimissioni ed al suo posto fu incaricato il generale von Schleicher. Il piano di Schleicher era audace. Nell’intento di mettere in difficoltà Hitler tentò, ma senza successo, di formare una maggioranza parlamentare che riunisse insieme le componenti di sinistra dei vari partiti, compresa l’ala sinistra del NSDAP guidata da Gregor Strasser. Onde evitare l’aggiramento messo in atto da Schleicher, Hitler, il 4 gennaio 1933, si incontrò in segreto con von Papen presso la dimora del banchiere Kurt von Schroeder. Si raggiunse l’accordo per un governo di coalizione che prevedeva l’ingresso di tre nazisti tra cui lo stesso Hitler come vicecancelliere. L’accordo, vista la presenza solo minoritaria dei nazisti e quella maggioritaria dei partiti di destra, convinse il vecchio Hindenburg. Von Papen, infatti, aveva garantito al Maresciallo-presidente che Hitler sarebbe stato meglio controllabile se fosse stato addirittura nominato cancelliere, dal momento che la sua forza popolare, come dimostrato dalle ultime elezioni, andava calando. Fu per questo che von Hindeburg si risolse a nominare Hitler cancelliere, il 30 gennaio 1933. L’anno successivo, nel 1934, alla morte del vecchio Hindeburg, Hitler non aveva di fronte più nessuno capace di trattenerlo. La Germania si avviava, legalmente, alla dittatura totalitaria ma anche, benché a carissimo prezzo per la democrazia di Weimar, alla soluzione della crisi economica. Come? È quanto vedremo. Il banchiere ebreo di Hitler «Il numero dei deputati nazisti – scrive Maurizio Blondet – passò da 8 a 107. Nel 1933, fu nominato cancelliere Adolf Hitler. Il suo programma, più volte esplicitato nei discorsi, affermava la centralità del lavoro nei confronti dei mezzi monetari, meramente strumentali: ‘La forza del lavoro germanico è il nostro oro. Solo il lavoro crea nuovo lavoro. Non è assolutamente il denaro che lo crea’. In pochi anni, violando tutti i dogmi liberisti, il nazismo assorbì completamente la disoccupazione e salvaguardò il potere d’acquisto dall’inflazione. Ma ovviamente le banche erano state asservite. La legge del 4 dicembre 1934 vietava alle banche di concedere prestiti sproporzionati rispetto alle riserve, fissandoli nel rapporto da 1 a 5. Le ‘operazioni rischiose’ furono vietate, così come ‘la concorrenza sregolata e nociva’, riportando il credito al suo compito ausiliario di ‘fissare una liquidità conveniente’» (1). Ma chi vi era dietro questo miracolo economico? Vi era Hjalmar Schacht, il banchiere ebreo di Adolf Hitler (2). Non devono affatto meravigliare le origini ebraiche di Schacht. Il regime nazista, a dispetto del’ideologia, non guardava tanto al sottile quando si trattava di ebrei altolocati o comunque influenti, come era appunto Schacht. Per gli ebrei che contavano, Hitler aveva sempre pronta la carta della arianizzazione per decreto. Anche Schacht, per i suoi meriti, fu fatto ariano d’onore.
Werner Goldberg, il soldato ebreo che partecipò alla difesa di Berlino
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Un giovane storico ebreo Bryan Mark Rigg ha pubblicato, qualche anno fa, un interessante libro che sconvolge molti schemi di comodo, condivisi sia da parte ebraica che da coloro che anche oggi hanno una mal riposta simpatia per il nazismo. Già dal titolo, I soldati ebrei di Hitler, pubblicato per i tipi della Newton & Compton, il libro di Rigg ha fatto scalpore. Egli ha dimostrato che furono circa 150.000 i soldati ebrei arruolati sotto il regime di Hitler nella Wermacht. Tra essi anche Gefreiter Werner Goldberg al quale la rivista nazista Signal dedicò nel 1939 la copertina del soldato tedesco ideale, additandolo ad esempio della purezza razziale ariana. La sua immagine è rimasta famosa e tuttora è spesso presente nei testi di storia anche scolastici come esempio della propaganda razziale del Reich. Hjalmar Horace Greeley Schacht era nato a Tingleff, all’epoca in Germania oggi in Danimarca, il 22 gennaio 1877 da William Leonhard Ludwig Maximillian Schacht e della baronessa danese Constanze Justine Sophie von Eggers. Famiglia, come detto, di lontane radici ebraiche. I genitori, quando nacque il piccolo Hjalmar, erano reduci da un periodo di emigrazione negli Stati Uniti. Il giovane Schacht si laureò in economia nel 1899, dopo aver studiato anche medicina, filosofia e scienze politiche. Nel 1903 entrò, come giornalista addetto stampa, nella Dresdner Bank, della quale poi fu amministratore dal 1908 al 1915. Lì iniziò a studiare e comprendere i meccanismi della finanza e nel 1908 diventò consigliere della Reichsbank, la Banca Centrale del Reich. Risale al 1905 la sua conoscenza con il banchiere ebreo-americano J. P. Morgan, uno dei principali magnati della finanza mondiale dell’epoca. In quell’occasione ebbe modo di conoscere anche l’allora presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt (da non confondere con Franklin Delano Roosevelt). Nel 1923 ebbe importanti incarichi di consulente economico nella Repubblica di Weimar. In questa veste si fece promotore di alcuni provvedimenti che riuscirono a ridurre parzialmente l’inflazione ed a stabilizzare il marco. Per questi meriti nel 1924 fu nominato presidente della Reichsbank partecipando anche all’elaborazione dei piani Dawes e Young. Schacht appartiene al novero della destra nazional-conservatrice, ossia al novero dei fiancheggiatori da destra del nazismo. Nonostante le sue dichiarazioni di fedeltà ad Hitler, Schacht non fu mai membro effettivo del partito nazista e del resto fu visto sempre con estrema diffidenza da diversi gerarchi nazisti. E’ stato tuttavia un finanziatore del partito di Hitler, dopo aver lasciato un piccolo partito di destra, il Partito Democratico Tedesco, che aveva co-fondato. Il 7 marzo 1930, dopo l’inizio della devastante Grande Depressione anche in Germania, si dimise dalla carica di presidente della Reichsbank.
Hjalmar Schacht
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Il suo primo incontro con Hitler risale al 1931. Rimase impressionato dal personaggio, dalla sua capacità oratoria e di trascinatore di masse. Non fu l’unico tra i conservatori di destra a vedere in Hitler l’uomo capace, con il suo seguito popolare, di fermare il comunismo avanzante e di ristabilire un governo autoritario e nazionale in Germania. Altri nazional-conservatori, come Carl Schmitt, il grande vecchio della filosofia politico-giuridica del XX secolo, subirono lo stesso fascino ed appoggiarono Hitler, salvo poi, quando il nazismo iniziò a svelarsi realmente, ritrarsi dallo scenario benché senza passare apertamente all’opposizione interna. Schacht ha creduto quindi, come molti altri conservatori, di poter usare Hitler. Forse così si spiegano – e non come adesione ideologica convinta al nazismo – certi peana che Schacht ha tributato al futuro Fürher. Come quando gli scriveva parole di questo tenore: «Non dubito affatto che gli attuali sviluppi non potranno che farvi divenire Cancelliere... potrete sempre contare su di me come vostro sostenitore. Con un vigoroso Heil!». Quando Hitler diventa effettivamente Cancelliere, Schacht organizza nel palazzo del presidente del Reichstag, ossia Göring, una cena tra il nuovo capo di governo ed i grandi industriali e banchieri della Germania, tra i quali il re dell’acciaio Thyssen, il presidente della Confindustria tedesca Kirdorf, l’amministratore delegato della più grande industria chimica tedesca, la Parden, von Schnitzler, i finanzieri Wolff e Schroeder, ed infine il più grande magnate dell’industria metallurgica germanica Alfred Krupp. Costoro ascoltarono tutta la sera Hitler esporre il suo programma di risanamento politico ed economico della Germania ed alla fine se ne mostrarono entusiasti. Fu a quel punto che Schacht, molto pragmaticamente, chiese loro di mettere mano al portafogli. Furono raccolti tre milioni di marchi per la causa nazista. Non bisogna, però, credere, come la storiografia di impostazione marxista ha per lungo tempo ritenuto, che il nazismo fosse una guardia bianca del grande capitale. «Se il ‘coordinamento’ degli Stati regionali – è stato osservato – poté causare delusione persino in molti ambienti conservatori alleati di Hitler, le azioni condotte dai nazionalsocialisti contro i sindacati…, le quali segnarono un ulteriore e decisivo passo verso la costruzione della dittatura totale, incontrarono invece il consenso dei ceti dirigenti tradizionali e della borghesia (…). I sindacati… non furono trasferiti in quella che già era l’organizzazione sindacale corrispondente alla NSDAP, la Nationalsozialistiche Bertriebszellenorganisation (Organizzazione nazionalsocialista delle cellule d’azienda), ma nel Deutsche Arbeitsfront (DAF, Fronte Tedesco del Lavoro)… al cui vertice fu posto il dirigente dell’organizzazione politica della NSDAP, Robert Ley. Il DAF (dopo la sua riorganizzazione nel novembre 1933) fu un’associazione – priva di ordinamento giuridico ma di fatto esistente – nella quale vennero riuniti forzatamente imprenditori, impiegati e operai, insomma tutti coloro ‘che avevano un lavoro senza differenze di posizione economica e sociale’ (Proclama del 27 novembre 1933). Con la distruzione dei sindacati fu anche eliminata la prerogativa delle parti sociali di fissare le tariffe salariali, la quale fu affidata, con la legge del 13 marzo 1933, alla nuova istituzione dei pubblici ‘fiduciari del lavoro’. Questa evoluzione mostra in maniera esemplare che il Terzo Reich, malgrado la sua politica filoimprenditoriale, non va visto… come uno strumento della controrivoluzione. Da una parte, infatti, non si può sorvolare, proprio nel campo della politica del lavoro e della politica sociale, su certe iniziative che operarono in senso egualitario sul piano sociale e di livellamento delle differenze di classe, iniziative che conferiscono al Terzo Reich una qualità politica ‘sui generis’ e non appaiono pregiudizialmente favorevoli ai datori di lavoro e ostili ai lavoratori. Dall’altra, lo Stato e il partito fin dal 1933 cominciarono ad imporre la loro forza nelle aziende anche nei confronti degli imprenditori. Sebbene infatti il nuovo regime favorisse i datori di lavoro sui problemi del salario, non si poteva negare che l’istituzione dei ‘fiduciari del lavoro’ statali, le garanzie contro i licenziamenti ingiustificati e per i permessi retribuiti per i lavoratori, l’obbligo imposto alle aziende di migliorare i servizi sociali, limitassero la tradizionale logica imprenditoriale del ‘padrone in casa propria’ talvolta in maniera più decisiva di quanto non avesse fatto l’azione dei sindacati negli anni della repubblica di Weimar. Per giunta, l’organizzazione dopolavoristica del Fronte Tedesco del Lavoro, ‘Kraft durch Freude’ (KdF, ‘La Forza mediante la gioia’) fondata il 27 novembre 1933, introdusse alcune innovazioni che furono ritenute socialmente molto avanzate, per esempio riguardo alle attività ricreative e alle vacanze di vasti strati sociali (fino all’emissione delle azioni di risparmio KdF a favore della Wolkswagen), e che contribuivano a legare la popolazione al regime. Sotto il profilo sociale introducevano un certo grado di egualitarismo e alcune – come il Servizio Nazionale del Lavoro (il Reichsrabeitsdienst) – obbligatorio per tutti i giovani – miravano a superare le differenze di classe nella ‘comunità di popolo’, nella ‘Volksgemeinschaft’ del Terzo Reich. Queste trasformazioni sociali ebbero, al di là dell’ambito politico, effetti economici e sociali il cui contenuto di modernizzazione fu parzialmente riconoscibile solo più tardi, anche se indubbiamente nel complesso servivano a dominare il popolo in tutti i suoi strati e ad asservirlo agli obiettivi della politica guerrafondaia, espansionistica e razzista» (3). In realtà, tra nazional-socialismo e conservatori di destra ci fu un gioco di reciproco sfruttamento politico mediante il quale ciascuna parte intendeva usare l’altra per i propri fini. Un po’ come avvenne anche in Italia tra il fascismo, nato socialista, e le forze di destra – monarchia, confindustria, nazional-liberali – che lo appoggiarono e finirono per parzialmente condizionarlo, costringendo il regime a mettere un freno alle proprie componenti di sinistra che avrebbero voluto riforme sociali più radicali, fino a che con l’occasione del 25 luglio 1943 i fiancheggiatori di destra riuscirono a scrollarsi da addosso anche lo statalismo sindacale (corporativista) del regime mussoliniano, il quale, se certo non portava fino in fondo la rivoluzione sociale tanto auspicata dai vecchi fascisti della prima ora, era, tuttavia, per un ceto industriale autoritario ed arretrato, come quello dell’Italia liberale uscita dal processo risorgimentale, persino eccessivo laddove non si limitava a porre una camicia di forza al sindacato ma tentava di farlo, e tutto testimoniava che era questa la strada faticosamente intrapresa dal regime, anche nei confronti del capitale. Una strada intrapresa dal regime fascista nella prospettiva futura, che esso si riproponeva di realizzare non appena le condizioni fossero pienamente maturate, di un assetto cogestionario e partecipativo delle relazioni industriali tra capitale e lavoro (una prospettiva che, al di là delle differenze di radici culturali che pure sono certamente importanti e non da sottovalutare, avvicina, sotto questo profilo, il fascismo al Cattolicesimo sociale e persino alla socialdemocrazia tedesca). Scrive lo storico Klaus Hildebrand, uno dei massimi esperti mondiali della storia del Terzo Reich: «(il 1936 fu l’) anno decisivo per i rapporti tra economia e politica (sotto il regime nazista). Una svolta che documentò apertamente il primato della politica sull’economia, e sotto il profilo politico convalidò, all’insegna del ‘full fascism’ (959: A. Schweitzer), la delegittimazione in uguale misura degli imprenditori e dei lavoratori. (Ma nel 1933) Dalla collaborazione spontanea della sfera economica, così come da quella estremamente decisiva dell’esercito, dipendeva… la possibilità per Hitler, di realizzare i suoi ambiziosi e utopici obiettivi di politica estera e razziale. (Nel 1933) Il Terzo Reich, sotto il profilo del suo rapporto con il mondo economico, viveva ancora in quella fase di “partial fascism” (959: A. Schweitzer), nella quale Hitler non poteva avere alcun interesse a imboccare una rotta di collisione con il potere industriale, dal momento che i rispettivi interessi in parte coincidevano; i conservatori d’altronde – collaborando nel loro ambito – incoraggiavano il regime a conquistare il potere, anche se con ciò lavoravano alla propria destituzione. Quando per esempio, con il sistema delle commissioni di vigilanza e controllo sull’assegnazione di valuta e di materie prime introdotto dall’estate del 1934, le competenze dei vari gruppi industriali nazionali… e persino la formazione dei prezzi furono regolamentate dallo Stato (sicché)… l’accusa di sabotaggio economico (contro gli industriali riottosi) divenne una minacciosa eventualità sempre incombente (…). (Tutto questo dimostra che) non è che le cose siano andate nel senso che la grande industria e il ‘capitale’ siano stati determinanti nel portare Hitler al potere. È vero piuttosto che essi gli diedero un appoggio finanziario notevole quando, dopo la ‘presa del potere’, si trattò di finanziare le elezioni del marzo 1933. A quel punto ai partiti che appoggiavano il governo, e anzitutto il ‘movimento’ di Hitler, affluirono da parte della grande industria mezzi per una cifra di 3 milioni di RM (Reichsmark); e ciò accadde dopo che la NSDAP era divenuto il fattore politico determinante e dopo che Göring, il 20 febbraio 1933, aveva promesso, a una selezionata cerchia di esponenti del mondo industriale e finanziario tedesco convenuti al palazzo del presidente del Reichstag per ascoltare il discorso del Fürher, che quelle sarebbero state le ultime elezioni per dieci e forse per cento anni. Ma alla fine della repubblica di Weimar… gli esponenti più importanti dell’industria tedesca avevano appoggiato senza eccezione non certo la NSDAP di Hitler, ma il modello di ‘Stato nuovo’ (uno Stato meramente autoritario e nazionalista, nda) di von Papen, cercando generalmente di accordarsi con tutte le forze politiche che non propagandavano l’abbattimento della proprietà privata» (4). Ma come sappiamo, nella riunione del 20 febbraio 1933, citata anche da Hildebrand, era stato Schacht a far affluire verso il partito nazista i finanziamenti del mondo industriale e finanziario che prima non considerava lo NSDAP degno di troppa considerazione. Hitler, grato, fece nuovamente nominare Schacht presidente della Reichsbank, il 17 marzo 1933, e poco dopo, nell’agosto del 1934, ministro dell’Economia e dello sviluppo della produzione bellica. Una carica che comprendeva anche il compito di elaborare i piani economici per la preparazione bellica. Come vedremo su questo punto, però, Schacht sembrò fare buon viso a cattivo gioco, avendo egli come vero obiettivo innanzitutto la ripresa economica della sua patria e il riassorbimento della massa sterminata di disoccupati. Non i sogni bellici di Hitler. Schacht, in effetti, non fu mai nazista nonostante, anche dopo la nuova nomina a presidente della Reichbank, come era logico, rinnovasse le sue dichiarazione di inossidabile fedeltà al «Fürher della nuova Germania» scrivendogli: «Nessuno di noi avrà mai un avvenire se non dimostrerà la sua incondizionata fedeltà verso Adolf Hitler. La Reichsbank sarà sempre e soltanto nazionalsocialista, oppure io cesserò di esserne il capo». Parole di circostanza. Infatti, al momento opportuno, quando le finalità sociali ed economiche di Schacht iniziarono a divergere da quelle belliche di Hitler, egli lasciò l’incarico senza che la Banca Centrale tedesca diventasse, per questo, anti-nazista. Schacht romperà con Hitler per contrasti politici in tema di autarchia, quando il banchiere si sarebbe dichiarato contrario all’affidamento del piano dell’autarchia nazionale ad un incompetente e morfinomane come Göring. Le idee di Schacht su come realizzare l’autarchia senza che essa soffocasse l’economia germanica erano diverse e certamente più tecnicamente fondate di quelle del grasso gerarca nazista. Così egli si dimise da ministro per essere, poi, cacciato dalla Reichsbank. Sulle motivazioni della rottura di Schacht con il regime hitleriano è, tuttavia, necessario fare un piccolo approfondimento, dal momento che le reali ragioni, quelle di una progressiva opposizione del banchiere alla politica bellicista, si nascondevano dietro pretesti di tipo tecnico. Schacht, come detto, era stato nominato, per i suoi meriti, Plenipotenziario Generale per l’Economia di Guerra nel maggio del 1935 ma già nell’agosto successivo ebbe un duro scontro con Julius Streicher, uno dei più influenti gerarchi del regime, a causa degli scritti anti-ebraici di quest’ultimo apparsi sul giornale Der Stürmer. Nel 1937 sarà rimosso dall’incarico di ministro dell’Economia, ufficialmente, per i contrasti con Hermann Göring. Schacht riteneva eccessive, e foriere di inflazione, le spese militari del piano di riarmo proposto da Göring. Ma visto che in precedenza lo stesso Schacht aveva appoggiato il riarmo come strumento di sostegno e rilancio dell’economia, appare alquanto strano questo improvviso ripensamento se non si ammette che, ad un certo punto, il banchiere si rese conto che mentre le sue intenzioni erano rivolte al solo rilancio economico della Germania, quelle invece di Hitler, che spalleggiava Göring, erano ben altre ossia la guerra di aggressione e di rivincita. Di qui, l’improvviso scrupolo di Schacht per il pericolo inflattivo, al quale probabilmente non credeva davvero ma che usava come deterrente e freno verso le effettive intenzioni del regime.
 Hitler con Hjalmar Schacht nel 1936
«Che questa rivendicazione programmatica (la conquista dello ‘spazio vitale’) – scrive Hildebrand – andasse di pari passo con la convinzione (che per Hitler apparentemente aveva lo stesso valore come alternativa di politica estera) che il cosiddetto problema dello spazio vitale del popolo tedesco si poteva risolvere ‘forse attraverso la conquista di nuove possibilità di esportazione’, ben si accorda con gli sforzi paralleli di Hjalmar Schacht di risolvere i problemi interni ed esteri, sociali e nazionali del Reich tedesco mediante un’offensiva sul piano del commercio estero. Hitler appoggiò questi sforzi di Schacht avvallandoli finché essi servivano a loro volta a sostenere i propri piani politici, in particolare quelli del riarmo e del relativo fabbisogno finanziario. Inoltre, questa pseudo alternativa che faceva leva sulle possibilità di espansione economica offerte da una politica estera e da una politica del commercio estero tedesca serviva ad assicurare gli ascoltatori, nel momento stesso in cui lasciava intendere le proprie intenzioni militari, circa il suo presunto pacifismo, che egli ripetutamente tenne a sottolineare dinanzi all’opinione pubblica mondiale proprio all’inizio del suo regime, per esempio in occasione della proposta di patto quadripartito avanzata da Mussolini il 17 marzo 1933, nel suo discorso al Reichstag del 23 marzo 1933, ma specialmente nel suo grande ‘discorso della pace’ del 17 maggio 1933» (5). Come è evidente fu Hitler ad usare ed ingannare, dissimulando le sue vere intenzioni, Schacht, ed il mondo intero, e quando il banchiere mangiò la foglia tentò di opporre pretesti tecnici al piano di riarmo, fino a rompere con il Fürher. Dopo la rimozione da ministro dell’economia, mantenne comunque la carica di presidente della Reichsbank fino a quando nel 1939 il regime non gli impose le dimissioni anche da questo incarico, pur lasciandogli il relativo stipendio fino al 1943, ossia al pensionamento definitivo, nonché la carica di ministro senza portafoglio. Ma prima della rottura con il regime nazista, Schacht fu il vero artefice del miracolo economico hitleriano. «… la politica economica di Hitler (fu) – scrive ancora Hildebrand – per larga parte impostata da Hjalmar Schacht, presidente della Reichsbank (dal 17 marzo 1933) e dal 30 luglio 1934 anche ministro dell’Economia nazionale e ministro dell’Economia prussiana (…). Dopo la ‘presa del potere’ l’economia tedesca ebbe uno sviluppo complessivamente positivo, e gli indici di disoccupazione calarono. Facendo leva su un’economia che andava lentamente riprendendosi, il nuovo governo si riallacciò energicamente a quei programma occupazionali che già erano stati avviati sotto i governi precedenti (…) esso condusse una politica dell’occupazione. Le leggi ‘per la riduzione della disoccupazione’ del 1° giugno 1933 e 21 settembre 1933, la concessione di prestiti matrimoniali, la costruzione dell’autostrada nazionale approvata con la legge del 27 giugno 1933, contribuirono ad attenuare la disoccupazione quanto l’istituzione del ‘volontariato’ del lavoro, l’impiego di disoccupati come ausiliari agricoli sottopagati o in ‘lavori pubblici, mal pagati, creati per ovviare alla disoccupazione (121: W. Hofer). Sommandosi agli effetti della circoscrizione obbligatoria introdotta il 16 marzo 1935 e del Servizio nazionale del lavoro reso obbligatorio il 26 giugno 1935, e alle conseguenze economiche del riarmo tra la fine del 1933 e gli inizi del 1934, tali provvedimenti contribuirono in misura determinante a ridurre il numero dei disoccupati, dal gennaio 1933 al luglio 1933, di oltre 1 milione di persone, portandolo a meno di 5 milioni, per poi ridurlo sistematicamente e rapidamente a 1 milione nell’autunno del 1936. Efficienza e terrore, il bastone e la carota: ecco gli elementi che spiegano l’adesione al regime e ne fanno capire la dinamica. Mentre i sindacati erano stati costretti a confluire nel Fronte del Lavoro, i gruppi di interesse agrari vennero trasferiti nella Corporazione Nazionale dell’Alimentazione (istituita dalla legge del 13 settembre 1933). Essi furono favoriti dall’obiettivo dell’autarchia agricola e dalla riduzione delle importazioni alimentari dovuta al deficit valutario. Per raggiungere con la massima rapidità un aumento della produzione agricola, il nuovo governo rinunciò alla divisione della grande proprietà terriera. Tuttavia, in linea con gli indirizzi di politica agraria nazionalsocialista sostenuti da Richard Walter Darré, ministro degli Approvvigionamenti e dell’Agricoltura del Reich e ministro dell’Agricoltura prussiana, che si basava sull’ideologia del ‘Sangue e Terra’ e mirava ad assicurare ‘il mondo contadino come fonte vitale della razza nordica’ (R. W. Darré), il 29 settembre 1933 fu emanata la Legge sull’ereditarietà dei poderi (…). In tal modo i poderi con superficie superiore ai 7 ettari e mezzo e (di norma) inferiori a 125 ettari furono dichiarati ‘ereditari’ previa attestazione della ‘purezza del sangue’ dei proprietari fino al 1° gennaio 1800. I poderi poterono essere così trasmessi ereditariamente senza divisioni, ed erano ‘assolutamente inalienabili e non ipotecabili’. Ma è anche vero che in tal modo essi furono sottratti alla commercializzazione» (6). Dopo la rottura con Hitler, il banchiere si avvicinò alla resistenza al nazismo. In Germania non vi fu mai nessuna resistenza di sinistra o liberal-democratica, come quella registratasi in Italia nel 1944-45. Le uniche forme di resistenza tedesca furono espresse dai giovani cattolici riuniti nel circolo della Rosa Bianca – furono tutti giustiziati dopo aver inscenato pubblicamente azioni di contestazione del regime – e dalla destra nazional-conservatrice. La resistenza che andava maturando negli ambienti nazional-conservatori e nella stessa Wermacht porterà all’attentato, del 20 luglio 1944, di von Stauffenberg. Schacht che era coinvolto nella preparazione dell’attentato, sarà per questo arrestato dalla Gestapo ma evitò la forca finendo per undici mesi a Dachau. Liberato dagli Alleati fu poi processato a Norimberga. La sua tesi difensiva puntò a dimostrare, con successo, che la sua collaborazione con il regime nazista era stata necessitata dalla grave situazione economica nella quale la sua patria si dibatteva intorno al 1930 sicché egli non avrebbe potuto, al di là di chi fosse il capo dello Stato, non contribuire al risanamento dell’economia tedesca ed a sollevare dalla disoccupazione milioni di compatrioti. Durante la prigionia a Norimberga, cui fu sottoposto dagli alleati, ebbe, in un’occasione, a chiedere al soldato di guardia una tavoletta di cioccolata, spiegandogli che era per il suo nipotino di quattro anni il quale non aveva mai mangiato del cioccolato. L’accusa mossa a Norimberga contro di lui fu quella di crimini contro la pace. Un capo di imputazione tipico nella prospettiva del diritto umanitario globale per la quale la pace, lungi all’essere evangelicamente quella che non da il mondo, è invece la copertura degli interessi e dell’ordine imposto dai vincitori. Infatti il crimine contro la pace commesso da Schacht altro non era, secondo il pubblico ministero, che l’aver contribuito ad aggirare ed abbattere il Trattato di Versailles. Il pubblico ministero dimenticava però di far memoria delle odiose clausole di quel Trattato che, come abbiamo visto, aveva vergognosamente imposto, per la cieca voglia di vendetta anglo-francese, la fame ai tedeschi gettandoli nelle braccia di Hitler. Anche se le prove raccolte dimostrarono che egli aveva operato per convogliare verso il partito nazista cospicui finanziamenti, non fu possibile provare la sua diretta partecipazione alla preparazione della guerra e quindi assolto, insieme a Franz von Papen. Benché non sia possibile negare che la competenza tecnica di Schacht abbia contribuito alla realizzazione degli obiettivi bellici di Hitler, sarebbe ingiusto non dargli credito circa quelli che erano invece i propri diversi obiettivi. Dimostrati anche dal fatto che, a lungo andare, la concordanza solo apparente tra lui ed Hitler finì per emergere fino alla rottura. Concorda con il nostro giudizio anche Klaus Hildebrand. «Il ‘dittatore economico’ Schacht – egli scrive –, che nei primi anni del Terzo Reich rese possibile il riarmo con rischiosi strumenti di politica creditizia (i cosiddetti Mefo-Wechsel, ossia le cambiali che i fornitori dello Stato potevano spiccare su una cosiddetta ‘Metall-Forschungs-GmbH’ dotata di un capitale minimo; gli effetti erano garantiti dallo Stato di fronte alla Reichsbank, la quale si obbligava a scontarli), si illuse poi di poter arrestare ad un certo punto tale meccanismo, di poterlo sovranamente dominare razionalmente al momento in cui l’economia avesse riacquistato il suo ritmo adeguato inducendo una stabilizzazione politico-sociale. Solo più tardi, troppo tardi, egli riconobbe che le sue idee in materia di riarmo, e le sue concezioni economiche e politiche divergevano radicalmente da quelle di Hitler, il quale non pensava affatto di bloccare il riarmo quando l’economia si fosse sollevata. Il suo problema era piuttosto quello di continuare ad armarsi per poter fare la guerra, coprirne i relativi oneri ricorrendo all’atavica risorsa del bottino di guerra e infine, in prospettiva, distruggere l’ordine sociale esistente sul piano nazionale ed internazionale. Né Schacht si era accorto di fare il gioco di Hitler. Il suo ‘nuovo piano’, che ebbe una piattaforma legislativa nel Decreto sul commercio (Verordnung über den Warenverkehr) del 4 settembre 1934, in vigore dal 24 settembre 1934, prevedeva già in forma embrionale la bilateralizzazione del commercio estero, regolava le limitazioni quantitative alle importazioni secondo un piano che teneva conto di una ‘scala di priorità dell’economia nazionale’ (H. Flaig), e stimolava le esportazioni sulla base di operazioni di interscambio e di compensazione. Egli inaugurò un’offensiva delle esportazioni e degli scambi con l’estero, la quale obbediva prioritariamente a motivi interni di indispensabile consolidamento sociale, pur rischiando tutta una serie di conflitti di politica estera, ad esempio con gli USA in zone di espansione economica intersecantesi (Europa sudorientale; America Latina) e rappresentava un’alternativa più realistica agli obiettivi ideologici e militari di Hitler» (7). Ma Hitler non inseguiva il realismo di Schacht. Per il Fürher non si trattava di egemonia soltanto economica della Germania. L’obiettivo vero di Hitler era l’egemonia razziale ario-germanica su tutti i popoli inferiori, benché la loro soggezione al Reich sarebbe stata graduata secondo una scala di maggior o minor purezza per la quale i bianchi non tedeschi sarebbero stati trattati meglio dei neri, i latini meglio degli slavi, gli slavi meglio degli ebrei. Ma tutti sarebbero diventati, a diversi livelli, schiavi del Reich germanico. «Dopo le profonde trasformazioni attuate nell’economia – continua Hildebrand –, nell’esercito e nel ministero degli Esteri tra la fine del 1937 e l’inizio del 1938, con l’allontanamento di Schacht dal ministero dell’Economia il 26 novembre 1937, … tutte le premesse interne per l’attuazione violenta della politica di modificazione territoriale nell’Europa centrorientale erano poste. (…) il nuovo corso della politica interna, estera ed economica del Reich germanico (serviva) … a rafforzare l’autorità del Fürher» (8). Come ricorda altrove lo stesso Hildebrand, il percorso di Hjalmar Schacht è stato quello del passaggio dall’iniziale collaborazione con il regime nazista alla successiva critica ai suoi princìpi razziali e bellicisti che egli finì per giudicare nefasti e deleteri anche dal punto di vista economico (9). Questo perché Schacht, pur accettando come fondamentale e preminente il ruolo pubblico nell’economia, non intendeva negare all’economia una sua relativa autonomia, dotata di sue leggi. Da non considerare, certo, dogmaticamente intangibili ma delle quali tenere conto per un buon governo dello Stato. Schacht sperava di modificare, al momento opportuno, il regime totalitario in un regime d’altro genere, ossia nazionale e (per dirla con espressione efficace per rendere l’idea di uno Stato non neutrale nei confronti dell’economia ma non dittatoriale) di tipo, a modo suo, keynesiano (10). Hildebrand segnala che l’indirizzo economico più realista di Schacht ebbe addirittura un influsso persino su Herman Göring, che gli succedette nell’incarico di responsabile dell’economia del Reich. Infatti pare che il grasso gerarca cercasse di considerare anche la visione più realista di Schacht, lasciata dal banchiere in eredità ai suoi collaboratori nel ministero, nonostante egli fosse stato messo lì, al suo posto, per perseguire il piano quadriennale chiaramente finalizzato al riarmo in funzione della preparazione bellica e non certo in funzione della sola ripresa economica della Germania disastrata dalla deflazione liberista. Oltretutto quella base di realismo economico schachtiano risulterà un elemento prezioso quando nel dopoguerra la Germania inizierà la ricostruzione. «Illuminanti … – scrive in proposito Hildebrand – appaiono le considerazioni di Stefan Martens… e Alfred Kube… sulle idee e le attività politiche ed economiche di Herman Göring. ‘Il secondo uomo dell’impero’… infatti, per un verso appare come l’esponente della rovinosa economia del riarmo dello Stato nazionalsocialista, la cui ultima ratio era la guerra e il ricorso alla forma atavica del saldo dei debiti attraverso il bottino di guerra. D’altra parte sul piano politico egli mantenne un atteggiamento di accentuato scetticismo nei confronti dell’indirizzo bellico di Hitler. Da questo punto di vista sembra che talvolta egli si sia mostrato disponibile – forse senza nemmeno rendersene realisticamente conto – alle esigenze di una politica economica ed estera razionale (caldeggiata anche dal suo rivale Schacht) che probabilmente venivano discusse negli organismi preposti al piano quadriennale e nelle burocrazie dei vari ministeri come alternativa all’indirizzo di guerra programmatico di Hitler. Questa tendenza a indirizzare le scelte verso obiettivi realistici che poi sotto certi aspetti – in un contesto politico fondamentalmente mutato – furono realizzati dopo la fine della guerra, si rafforzò soprattutto durante la seconda metà della guerra mondiale e rappresentò… sia un fatto eccezionale rivolto contro il regime, sia, in gran parte, una scelta che rimaneva all’interno della collaborazione con esso…» (11). Assolto a Norimberga – anche perché si trattava di un banchiere internazionalmente conosciuto ed influente – Schacht non scampò però a quattro anni di prigione inflittigli dai tribunali tedeschi di denazificazione. Liberato nel 1950, tornò ad operare nel mondo bancario e finanziario, in particolare come consulente per i Paesi in via di sviluppo. Fece fortuna e morì il 3 giugno 1970 a Monaco di Baviera. (continua)
Luigi Copertino • Weimar: una tragedia da deflazione (parte I) • Weimar: una tragedia da deflazione (parte II) • Weimar: una tragedia da deflazione (parte IV)
1) Confronta M. Blondet, Perché ripudiare il debito (l’abbiamo già pagato), opera citata. 2) Per maggiori approfondimenti rinviamo alla sua biografia, Il banchiere di Hitler edita da Piemme nel 1998 e scritta da uno storico ebreo John Weitz, sopravissuto allo persecuzione nazista, il quale ha dichiarato di averne iniziato a raccogliere fonti e notizie sulla vita di Schacht per mettere in rilievo un genio del male ma che, mentre approfondiva i suoi studi, si è trovato davanti una figura molto più complessa e non facilmente schiacciabile su Hitler ed il suo regime, del quale ad un certo punto diventò anche un oppositore. 3) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagine 10-12. 4) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagine 14-16. 5) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagina 21. 6) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagine 12-13. 7) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagine 14-15. 8) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagina 42. 9) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagina 213. 10) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagina 220. 11) Confronta K. Hildebrand, opera citata, pagine 213-214. Si veda ibidem pagina 62: «Herman Göring… per un verso appoggiò senza riserve la linea di Hitler, che in funzione del riarmo e della guerra disprezzava drasticamente tutte le necessità economiche. D’altra parte, tuttavia, egli si fece portatore di concezioni alternative in campo economico e politico, dovute in gran parte all’influenza e ai suggerimenti tecnici del gruppo di collaboratori del ‘piano quadriennale’, come il direttore ministeriale Wohlthat, e ispirate in modo più o meno consapevole alla politica economica e del commercio estero di Schacht (…). Comunque l’industria tedesca continuò ad essere pesantemente agganciata alla produzione di materiale bellico senza alcun riguardo per quelle possibilità e quei limiti economici che Schacht non aveva mai trascurato».
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Commenti
Goering è definito con disprezzo "il grasso gerarca". Visto che nella Prima Guerra Mondiale era stato decorato con la "pour la mèrite" un bieco malassolutista come me potrebbe definirlo
"l'eroico gerarca". Così anche per il povero Bossi, definito "il cerebroleso". Pensino, questi clericali ad oltranza, se un bieco miscredente osasse definire sua Santità Giovanni XXIII invece che il Papa del Concilio, "il grasso Papa".
Goering è definito con disprezzo "il grasso gerarca". Visto che nella Prima Guerra Mondiale era stato decorato con la "pour la mèrite" un bieco malassolutista come me potrebbe definirlo
"l'eroico gerarca". Così anche per il povero Bossi, definito "il cerebroleso". Pensino, questi clericali ad oltranza, se un bieco miscredente osasse definire sua Santità Giovanni XXIII invece che il Papa del Concilio, "il grasso Papa"
Il "clericale ad oltranza" non si offenderebbe affatto se qualcuno ricordasse che Papa Giovanni XXIII era grasso. Per il semplice fatto che lo era. Ma a differenza di Goering non lo era perché morfinomane.
Luigi Copertino
per Schacht - e non dubito che fesse così- più volte viene esplicitato il concetto che questo geniale banchiere operasse per amore della Patria e del popolo, languenti sotto i postumi del trattato di Versailles. Per il caporale Hitler, "suo datore di lavoro" appare invece unicamente la bieca intenzione bellicista e razzista (con relativa scaletta!), che reca sullo sfondo l'atavica propensione alla razzia per vendetta e ripristino delle risorse(attribu ita evidentemente ai barbari Germani).
Visto da me in estrema sintesi, un'ottimo modo per trattare di economia e di storia dopo il 1945. Ma del resto il pensiero di Del Noce docet.
In ogni caso sempre con stima e cari saluti.
Giuliano
Caro Giuliano, ti invito a soffermarti sui passi nei quali richiamo le gravissime responsabilità francesi ed inglesi per il trattamento riservato alla Germania. Non mi pare dunque di aver "tifato" per le potenze occidentali. Ciò non toglie che il nazismo è anticristiano.
Cari saluti.
Luigi Copertino
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Ho pranzato con Giorgio Galli circa 7 anni fa (ricordo che era il ristorant Verdi, a Milano, sopra il quale lui abitava.
Ricordo che parlammo dell'esoterismo e del paganesimo nel nazismo, posto che il Galli ci aveva scritto un libro e lui stesso mi confermò che si tattava di un aspetto del tutto secondario nell'ambito del nazismo, che Hitler conosceva poco e quel poco lo riteneva una scemenza, più o meno (un po' di più) del ruolo che aveva Evola durante il fascismo. Anzi Carradori, attendente del Duce, mi confermò che al solo nominare Evola Mussolini si toccava le grazie.
FdF
"The Israeli people around the world declare economic and financial war against Germany. Fourteen million Jews stand together as one man, to declare war against Germany. The Jewish wholesaler will forsake his firm, the banker his stock exchange, the merchant his commerce and the pauper his pitiful shed in order to join together in a holy war against Hitler's people." - Daily Express, March 24th 1933.
Che cosa dicevano gli ebrei più infuenti?:
"Germany is our public enemy No.1. It is our object to declare war without mercy against her"- Bernart Lecache, President, Jewish World League
"War in Europe in 1934 was inevitable". H. Morgenthau, Hearst Press, U. S. September 1933.
Dimostrazioni di massa, boicottaggi, appelli, e il tutto PRIMA che fosse presa una qualsiasi iniziativa contro gli ebrei tedeschi. Tutto questo è sparito dalla storiografia ufficiale e si vedono solo i cartelli dei tedeschi che invitano a non comprare nei negozi ebrei dopo la Reichkristallna cht (causata dall'assassinio del diplomatico tedesco Ernst von Rath). La guerra economica è proseguita negli anni successivi per cui Hjalmar Schacht ha combattuto, e ha vinto, su due fronti: quello interno riducendo quasi a zero una disoccupazione che rischiava di affossare il Paese e quello esterno, rendendo, con l'autarchia, prive di conseguenze le agitazioni giudaiche.
Ora, se Hitler era un guerrafondaio, questi cosa sono, ambasciatori di pace? E l'ammissione di Chamberlain, riportata da Joseph Kennedy, allora ambasciatore in Gran Bretagna, che erano stati spinti alla guerra da ebrei e americani?
- Il punto importante è proprio il successo ottenuto da Schacht SENZA PROVOCARE INFLAZIONE. È stata la dimostrazione che un altra finanza è possibile, non fine a se stessa e all'arricchimento degli speculatori, ma al servizio dell'economia reale. Questo successo è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
- Per vedere l'interesse sovietico ad una guerra in Europa, basta leggere Suvorov.
- Gli "obiettivi razziali" di Hitler sono una fantasia. L'alleato più stretto di Hitler, e quello per cui aveva ammirazione, era Mussolini, non i dirigenti scandinavi.
Caro Pietro G.
il mondo ebraico è molto variegato. Se alcune lobby gridavano contro Hitler, altre lobby, quelle sioniste, invece flirtavano con lui, come ha dimostrato Andrea Giacobazzi da me citato in una nota. E flirtavano in nome della comune concezione "nazional-socialista" che apparenta nazisti e sionisti. Spero che tu capisca l'importanza di separare le idee economiche di Schacht dall'uso al quale il nazismo le piegò. Nell'ultima parte dell'articolo citerò un ricercatore dell'Enea che richiama le idee di Schacht come mezzo per uscire dalla crisi attuale. Anche Keynes ebbe elogi per il banchiere ebreo-tedesco. Allora perché schiacciarlo su un regime folle con il quale egli stesso fu poi costretto a rompere dato che non perseguiva solo il risanamento economico e il riassorbimento della disoccupazione ma sogni millenaristici di egemonia euro-mondiale?
Saluti.
Luigi Copertino
Benché da mero divulgatore, ho scritto un articolo di storia. Non di propaganda del nazismo o filo liberale. Infatti quanto ho trattato di cosa è stato il nazismo sotto l'aspetto sociale, ossia un socialismo vero e proprio, non l'ho negato. Ho citato storici noti che hanno smontato la chiave di lettura marxista del nazismo e del fascismo come reazione capitalista contro il lavoro. Dunque non vedo l'acrimonia che vedi tu. Il fatto è che tu sei accecato dall'essere nazista o simpatizzante per esso. Dunque tu leggi la storia con il filtro degli occhiali dell'ideologia e questo distorce la tua percezione e ti fa pervenire a giudizi infondati e nascondere aspetti tragici come il razzismo e l'aspirazione di Hitler ad un Nuovo Ordine (non ti dice niente l'uso di tali espressioni di chiara derivazione settaria?) che avrebbe visto la Germania dominatrice in Europa su tutti gli altri. Anche sull'Italia. E Mussolini questo lo aveva capito e lo temeva: un motivo in più tra quelli che lo spinsero all'errore di entrare in guerra (forse consigliato in ciò anche da Churchill) dalla parte di chi nel 1940 sembrava aver vinto. Naturalmente riconoscere questa verità storica non significa parteggiare per americani o sovietici o franco-inglesi. Anche gli alleati hanno i loro scheletri nell'armadio, ad iniziare dai due milioni di civili tedeschi orientali chiusi nei lager sovietici o da Desdra. Dirsi, in quanto cattolici, contro il nazismo, che è razzismo ossia riduzione dell'uomo a zoologia, non significa neanche "tifare" per altre ideologie. Ho scritto diverse volte che il fascismo ha perso l'occasione storica di farsi "battezzare" proprio andando appresso alle follie hitleriane, laddove la Chiesa sperò in una Italia che riunisse gli Stati nazionali latini in una alleanza opposta tanto al nazismo, quanto al comunismo ed alle democrazie occidentali. Il problema di tale prospettiva, coltivata dalla Chiesa dell'epoca, stava però nel fatto che mentre l'Italia di Mussolini, che intelligentemen te stipulava il concordato, faceva una politica sociale e modernizzatrice , questo non facevano né la Spagna di Franco né il Portogallo di Salazar che erano regimi soltanto conservatori. Ma è acqua passata. Per l'oggi l'unico per il Quale faccio "tifo" è Nostro Signore Gesù Cristo. La salvezza arriverà soltanto da Lui e da nessun altro.
Saluti.
Luigi Copertino
Ne sei proprio sicuro? Sei proprio sicuro che il vizio nulla c'entrasse?
Luigi Copertino
Non sono NazionalSociali sta per quello che può interessare caro Dottore, il mio regime ideale è un mix tra Fascismo, Salazar e dottrina di Corneliu Codreanu, non approvo
l'eugenetica e il razzismo inteso come sopraffazione, anche se, lo ammetto sono un identitario, cosa che non credo contrasti con il Cattolicesimo, tradizionale ovviamente;
Credo altresì che i difetti del NazionalSociali smo si siano ampiamente riscattati con la difesa strenua dell'Europa e dell'Occidente, quelli veri ed autentici, difesa che va in senso cronologico e geografico da Stalingrado a Berlino '45E' la sorprenderò, anch'io credo che la salvezza sia solo Gesù Cristo.
Mi fa piacere che condivide la mia fede e la mia speranza. E spero che si convinca della incociliabilità tra Cattolicesimo e nazismo. Però mi lasci osservare che resta un po' di confusione. Il fascismo italiano, il legionarismo rumeno ed il salazarismo sono state cose molto diverse. Se fascismo e legionarismo possono annovevarsi nella categoria "fascismo" (ciascuno con le sue peculiarità: il fascismo italiano appartiene ad una società dualista, ossia sospesa tra mondo preindustriale e modernità avanzante, il legionarismo rumeno appartiene ad una società ancora molto contadina e quindi preindustriale) . Il salazarismo no. Quello di Salazar fu un regime nazional-conservatore molto distante dal fascismo modernizzatore e sociale italiano o rumeno.
Cari saluti.
Luigi Copertino
Attento caro, il Doctor angelicus che tifa solo per Gesù, le ha dato del nazista. Sappia che qui non si tratta più di discutere di Storia, si tratta di una accusa che può fare scattare le manette in tutta Europa e, se a qualcuno salta il ghiribizzo di denunciarla, un mandato di cattura europeo la può deportare in capo al mondo, dove si difenderà con le armi democratiche che le saranno concesse.
Reciti quindi con me, in accordo con gli illustri storici e le buone letture del suddetto dottore, il tantra:
Credo fermamente nella verità accertata a Norimberga (credo nelle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein).
Credo fermamente che l'unico responsabile della seconda guerra mondiale sia il pazzo imbianchin caporale Adolf Hitler (che il suo nome sia maledetto in eterno) (credo che quattro arabi abbiano investito con aerei dirottati due torri gemelle e ne abbiano fatte cadere tre).
Credo che un Ordine Nuovo sia una cosa infame ed amo di tutto cuore l'Ordine Attuale.
Credo fermamente alle confessioni di Hoss, anche se estorte con la giusta e doverosa tortura. Credo anche che sia stato giusto torturare il figlio decenne perchè la madre rivelasse dove il padre era nascosto (ma forse questo lo dice gentaglia come Faurisson, che per amore del falso rinuncia alla cattedra, alla pensione, all'incolumità fisica, io non lo credo, sia ben chiaro).
Credo nella Democrazia, e soprattutto credo nella Democrazia Europea, anche se non posso eleggere i suoi capi e non posso votare ad un referendum che tale democrazia possa avvallare o contestare, e questo è buono e giusto, perchè devo essere guidato verso il bene supremo. Amo le missioni di pace, perchè evitano le catastrofi umanitarie.
Credo che le bieche SS fossero dei ripugnanti pederasti, mentre amo teneramente i gay, non voglio che tentino di cambiare la loro condizione, voglio che si sposino
all'altare, il piglianculo vestito di bianco e col velo pudicamente sul capo, voglio che adottino i figli che i servizi sociali avranno sottratto a biechi genitori retrogradi che osavano parlar loro di brutte cose, chessò? come onore e fedeltà.
Così sia.
Luigi Copertino
L´insolenza gratuita, nonostante le evidenze, non gioca a favore della Sua onestá intellettuale e tanto meno della performance della Sua mente. Un divulgatore che riesce ad accumulare cosí tanti dissensi, si puó dire che ha fallito in pieno la sua missione. Tutto bene se ció si tradurrá, per le Sue future disquisizioni, in minore supponenza e maggiore umiltá.
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"Un divulgatore che riesce ad accumulare cosí tanti dissensi"... dipende dal mezzo sul quale si scrive; evidentemente tra i lettori vi è un'alta percentuale di nazisti.
FdF
Concordo in pieno. L'ideologia ha sempre qualcosa di spiritualmente diabolico nel senso che divide l'uomo dalla realtà che lo circonda: è la realtà che deve adattarsi alle nostre opinioni!
Credo che anche il cattolicesimo stesso possa diventare ideologia nel momento in cui mi servo di Cristo a supporto di quello che mi piace e non è più Avvenimento!
Ed ecco allora che prima di Cristo assume per me primaria importanza essere cattolico progressista o cattolico tradizionalista o cattolico padano. Esiste a quanto vedo anche il cattolico "identitario": Cristo per tutti, ma ognuno a casa sua alla legaiola suppongo...
E pensare che dopo Cristo "Non c'è più giudeo nè greco, uomo o donna, schiavo o libero".
Comunque, caro Luigi, anche se lunga da smaltire, credo che prima o poi passerà anche la pesante eredità ideologica del Novecento.
Aspetto (e non solo io) l'ultima parte dell'articolo.
Nota: personalmente credo che sostenere che il nazismo abbia "difeso l'Europa" sia come sostenere che Usraele abbia contribuito a fare nascere un Iraq più bello e più gioioso che prìa!
Grazie ancora per la sua lucidità e grazie a FdF.
Umberto
Mi piacerebbe sapere come giudica "evangelicamente " i frutti dell´albero degli alleati. Immagino che almeno questi "frutti" Le siano noti ma posso aiutarLa: Vietnam, Afganistan, Serbia, Palestina, Libia, Siria ed Iran... per citarne alcuni oltre ovviamente agli infami campi di concentramento per prigionieri tedeschi.
Riguardo al numero dei morti russi non dovuti al nazismo, ma al comunismo, il fatto che la suddetta operazione Barbarossa ne abbia provocati un po' di meno non ne autorizza certamente la assoluzione. Ma anzi conferma sul piano operativo una sostanziale matrice comune di queste due diaboliche ideologie: l'odio per l'umano (e per la Verità).
E purtroppo non confinato al solo secolo XX e non solo a comunismo e nazismo. Inutile spiegarlo agli obsoleti tifosi di queste due "squadre".
In politica come in storia siamo condannati a sorbirci reciproche condanne tra due falliti, che si addossano colpe l'un l'altro.
Inutile, obsoleto, tifoso; tre parole che descrivono perfettamente la situazione.
Spettacolo deprimente e noioso.
grazie dell'apprezzamento. Le ideologie (non solo quella nazista ma certamente anche quella!) accecano, purtroppo, l'intelligenza di molti che così fanno il gioco del "padre della menzogna".
Luigi Copertino
1) Non confonda la gnosi spuria, il manicheismo, certe correnti degenerate ed eterodosse della Kabbala, con il neoplatonismo, con l'ascesi, con l'esoterismo autentico; queste furono trasmesse nel patrimonio cristiano, sia dalla patristica greca, che da sapienti della portata di un Pico della Mirandola o di un Marsilio Ficino (nulla di più platonico o pitagorico delle cattedrali); Pitagora e Platone sono una cosa, l'occultismo un'altra; ed entrambi hanno elaborato una dottrina dell'Unità che non coincide affatto con la cosiddetta anima mundi da lei citata; mi permetto di suggerirle di approfondire; la teologia cristiana non è solo San Tommaso e gesuiti;
2) L'idea di ordine nuovo, di Sacrum Imperium, è essenzialmente cristiana; il Medioevo conobbe l'unità europea grazie all'Aquila e alla Croce; ne fa fede Dante nel suo De Monarchia; il fatto che tale idea sia stata ripresa dal nazionalsociali smo (ma non solo, vedi gli studi in materia di "fascisti" francesi e italiani) non necessariamente va assimilata con la contraffazione anticristica del nuovo ordine mondiale di massonica provenienza; se ne può discutere, ma dubito che se ne possa dar un giudizio nettamente negativo, specie per chi assume una prospettiva tradizionale, romana, cattolica;
3) non si può ridurre il nazionalsociali smo ad Hitler e Rosenberg; così come i fascismi sono stati molto più di quel che si crede; molti si sono schierati con la Germania, non per questo condividevano alcune teorie suprematiste, peraltro riviste da Hitler negli ultimi mesi (si legga la Battaglia di berlino, edizioni di Ar): tra gli altri, Rex, Falange, Guardia di Ferro, Giappone imperiale, spaccati del mondo musulmano, etc... Guardare alle differenze, invece che a ciò che unì tali movimenti, significa dar peso al particolare invece che all'essenziale, e cioè l'estremo tentativo di fermare l'avanzata del mondo moderno.
Ora, che tutto ciò non fu così netto, è vero; come è anche vero che alcuni aspetti dell'ideologia modernista furono presenti anche in tal movimenti (logica produttivista, idolatria, etc...). D'altronde, lei sa che la verità non sta mai tutta da una parte.
No Mirko, il dottor Copertino non lo sa affatto. Come giustamente Lei afferma, la teologia cristiana non é solo San Tommaso, cosí come la veritá sulle vicende trattate non sta solo negli scritti di Hildebrand e Gauchon, peraltro, le uniche fonti citate dal dotto Copertino. Una pecularietá della veritá consiste nell´essere, secondo le circostanze, tremendamente scomoda. Forse é per questo che diversi storici, tedeschi e non, stanno pagando la loro veritá con la galera. Ed é per questo che la strafottenza di coloro che pontificano, liberati dalle obiezioni di seri ed onesti interlocutori brutalmente imbavagliati, mi indigna.
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